Oltre la maschera della gentilezza

Pubblicato il 17 dicembre 2025 alle ore 18:41

Quando le buone maniere diventano una gabbia e allontanano dal sentire autentico

Nel mio lavoro incontro spesso una forma particolare di gentilezza: educata, composta, impeccabile… eppure spesso è vuota.

Una gentilezza formale che mantiene l’apparenza del rispetto, ma non nasce da un reale contatto con sé.
È un modo di stare in relazione che salva la faccia, ma spegne il sentire.
Un atteggiamento che evita il conflitto, ma allo stesso tempo lo alimenta sotterraneamente.

Dietro questa “buona educazione” così apprezzata socialmente, si nascondono spesso:

  • conflitti non detti

  • aspettative inconsapevoli

  • giudizi trattenuti

  • paura di apparire scomodi

  • bisogno di conformarsi

  • distanza emotiva

  • rabbia che non trova voce

È una gentilezza che sembra aiutare la relazione, ma in realtà la impoverisce.
È una maschera elegante che tutela le forme mentre erode la verità.

La rabbia che non si sente più

Molte persone credono di essere tranquille perché non reagiscono, non esplodono, non si arrabbiano.
In realtà hanno semplicemente spento l’interruttore del sentire: insieme alla rabbia hanno anestetizzato la vitalità, il desiderio, la creatività, l’autenticità.

Quando la rabbia non trova spazio, resta nel corpo: si irrigidisce, si accumula, si trasforma in stanchezza emotiva, tensioni, irritabilità sottile.
È come una brace che continua ad ardere dentro.

Il problema è non ascoltare i propri bisogni

La verità è che questa gentilezza formale nasce quando si smette di ascoltarsi o non si hanno i permessi per esprimersi.
Alcune persone non sanno più riconoscere i propri bisogni, o non si sentono autorizzate a esprimerli,:

“Non voglio disturbare.”
“Non voglio sembrare egoista.”
“Non voglio creare problemi.”

Ma c’è un punto fondamentale che l’assertività ci insegna: ogni bisogno è legittimo.
Non perfetto, non sempre facile da gestire, ma legittimo.

Sentire i propri bisogni, esprimerli e riconoscere il diritto di soddisfarli è un atto di presenza e di rispetto verso di sé.

Ed è proprio questo che permette alla gentilezza di tornare autentica.

Quando iniziamo a dire, con calma e chiarezza, “questo per me è importante”, tutto cambia:

  • la gentilezza smette di essere una maschera che protegge

  • la relazione si fa più vera

  • la rabbia può trasformarsi invece che implodere

  • il corpo si rilassa

  • consentiamo all’altro di incontrarci

Ho visto molte trasformazioni profonde, iniziare da questa presa di consapevolezza: riconoscere le cose importanti, sentire il diritto di ottenerle ed esprimersi chiaramente. Una dichiarazione di verità.

Perché la gentilezza autentica non è l’assenza di conflitto, ma la presenza di contatto.
Non è compiacere.
Non è trattenere.
È dire la verità con responsabilità, senza ferire e senza ferirsi.

È una gentilezza che apre, è disponibile, non chiude.
Libera, non imprigiona. Connette, non finge.

A volte basta fermarsi un momento, respirare e tornare a quel punto semplice ma potente: ascoltarsi.
Non per reagire, non per difendersi, ma per riconoscersi. Per sapere cosa stiamo provando in quel momento e cosa è importante per noi.

Perché la gentilezza autentica nasce solo quando c’è contatto con sé, con i propri bisogni, con la propria verità.

E allora ti lascio una domanda, da tenere con te con calma e sincerità:
In quali momenti della tua vita ti accorgi che la gentilezza che offri agli altri non nasce da te, ma ti allontana da ciò che senti davvero?

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